Industria 4.0: come saperla affrontare
L’industria 4.0 è da alcuni anni al centro della trasformazione economica in Italia e nel mondo.
Nel nostro Paese è stato varato il 21 settembre 2016 il piano del governo per l’Industria 4.0 contenuto all’interno della legge di Bilancio 2017, approvata definitivamente dal Senato il 7 dicembre 2016. Il piano nasceva con l’obiettivo di mobilitare nel 2017 investimenti privati aggiuntivi per 10 miliardi, 11,3 miliardi di spesa privata in ricerca, sviluppo e innovazione con focus sulle tecnologie dell’Industria 4.0, più 2,6 miliardi di euro per gli investimenti privati early stage.
Il provvedimento proponeva un mix di incentivi fiscali, sostegno al venture capital, diffusione della banda ultralarga, formazione dalle scuole all’università con lo scopo ultimo di favorire e incentivare le imprese ad adeguarsi e aderire pienamente alla quarta rivoluzione industriale.
Durante la pandemia da Covid19 l’Industry 4.0 e le tecnologie ad essa collegate si sono rivelate fondamentali per contrastare la crisi. A febbraio 2021 il presidente del Consiglio Mario Draghi ha espresso la necessità di “estendere e rendere facilmente fruibile il piano nazionale della Transizione 4.0 per accompagnare le imprese nel processo di innovazione tecnologica e di sostenibilità ambientale”.
Ma cos’è esattamente l’Industria 4.0?
L’industria 4.0 è un processo che scaturisce dalla quarta rivoluzione industriale e che sta portando alla produzione industriale del tutto automatizzata e interconnessa. Le nuove tecnologie digitali avranno un impatto profondo nell’ambito di quattro direttrici di sviluppo.
La prima riguarda l’utilizzo dei dati, la potenza di calcolo e la connettività si sostanzia in: big data, open data, Internet of Things, machine-to-machine e cloud computing per la centralizzazione delle informazioni e la loro conservazione.
La seconda è quella degli analytics: una volta raccolti i dati, bisogna ricavarne valore. Oggi solo l’1% dei dati raccolti viene utilizzato dalle imprese, che potrebbero invece ottenere vantaggi a partire dal “machine learning”, dalle macchine cioè che perfezionano la loro resa “imparando” dai dati via via raccolti e analizzati.
La terza direttrice di sviluppo è l’interazione tra uomo e macchina, che coinvolge le interfacce “touch”, sempre più diffuse, e la realtà aumentata.
Infine c’è tutto il settore che si occupa del passaggio dal digitale al “reale” e che comprende la manifattura additiva, la stampa 3D, la robotica, le comunicazioni, le interazioni machine-to-machine e le nuove tecnologie per immagazzinare e utilizzare l’energia in modo mirato, razionalizzando i costi e ottimizzando le prestazioni.
Dalla ricerca “The Future of the Jobs“, presentata al World Economic Forum 2016, è emerso che nei prossimi anni fattori tecnologici e demografici influenzeranno profondamente l’evoluzione del mercato del lavoro. Alcuni stanno influenzando le dinamiche già adesso e lo faranno ancora di più nei prossimi.
L’effetto probabile potrebbe essere la creazione di 2 nuovi milioni di posti di lavoro, ma contemporaneamente ne spariranno 7, con un saldo netto negativo di oltre 5 milioni di posti di lavoro. L’Italia ne potrebbe uscire con un pareggio (200mila posti creati e altrettanti persi), meglio di altri Paesi come Francia e Germania. A livello di gruppi professionali le perdite si concentreranno nelle aree amministrative e della produzione: rispettivamente 4,8 e 1,6 milioni di posti distrutti. Secondo la ricerca compenseranno parzialmente queste perdite l’area finanziaria, il management, l’informatica e l’ingegneria.
Cambiano di conseguenza le competenze e abilità ricercate: il problem solving rimarrà la soft skill più ricercata, ma diventeranno più importanti il pensiero critico e la creatività.
Le imprese stanno incontrando crescenti difficoltà per individuare, sia a livello di diplomati sia di laureati, le competenze necessarie per l’Industria 4.0. La scuola superiore e anche l’università non risultano ancora in grado di formare in modo adeguato le persone per garantire loro un inserimento efficace e rapido nel mondo del lavoro. Servono competenze digitali, ovvero quel vasto insieme di abilità tecnologiche che consentono di individuare, valutare, utilizzare, condividere e creare contenuti grazie alle tecnologie informatiche e a Internet.
Ma, prima di approdare in fabbrica o sul posto di lavoro, come si preparano i giovani all’Industria 4.0? In realtà non vengono preparati a sufficienza. Occorre perciò che la scuola faccia la sua parte. Per lo sviluppo delle competenze digitali potrebbero svolgere un ruolo chiave gli istituti tecnici e i licei che dovrebbero sviluppare orientamenti verso l’ottenimento di competenze certificate. Queste potrebbero consentire una effettiva employability dei giovani aprendo le porte al Lavoro 4.0.
Infine Industria 4.0 non significa solo introdurre nuovi macchinari in azienda ma anche e soprattutto cambiare modello di organizzazione. La tesi che emerge da molte ricerche e dai dati Istat è la difficoltà (culturale) di due imprese su tre nell’adottare una architettura produttiva adeguata alla prospettiva dell’economia globalizzata. Al netto di oggettive cause Paese (come la scarsità di investimenti pubblici, la lentezza della giustizia, o la fiscalità) e di incertezze caratteristiche (come quelle legate agli alti insuccessi dei passaggi generazionali o del difficile accesso al credito), la causa che gioca un ruolo formidabile sono alcuni stereotipi organizzativi.
Per esempio si pensa che l’organizzazione nelle Fabbriche 4.0 debba essere chiusa e gerarchica, e i manager sono ossessionati dal taglio dei costi. Invece, secondo il docente, occorre puntare alla “via alta” dell’innovazione.
Theorema segue da anni l’evolversi del mercato, gli ambiti di sviluppo dell’Industria 4.0 attraverso un servizio consulenziale e ha cuore la formazione dei giovani talenti.
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